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Il ricatto nascosto dei supermercati all'agricoltura italiana (inchiesta di Internazionale)

Torino, 18.7.2025

Il ricatto della GDO alle aziende agricole

Apro un sito di notizie, un giornale on line a caso, e trovo la pubblicità di un supermercato con offerte del 40% sui pomodori. Mi è appena successo, non dico così per dire. E allora mi indigno coloritamente perché no, non è giusto. Non è giusto perché nessuno può competere contro la GDO che sfoggia certe percentuali (non la piccolissima Verdessenza, di sicuro), ma perché dietro queste percentuali sta un'enorme ingiustizia nascosta nei confronti di quelle persone che quei pomodori li hanno coltivati e raccolti, dalle aziende agricole ai braccianti.


E allora prendo e rileggo la bellissima inchiesta di Stefano Liberti pubblicata su Internazionale il 14 luglio 2025. Si intitola Il ricatto dei supermercati all'agricoltura italiana. Se non riuscite a recuperarla, vi faccio un sunto, perché è giusto che si sappia come la GDO può permettersi tanta 'generosità', e chi la paga per davvero.


Il ricatto nascosto dei supermercati all'agricoltura italiana

Dietro gli scaffali ordinati dei supermercati si nasconde una realtà spietata: un sistema che sta strangolando l'agricoltura italiana attraverso pratiche commerciali che molti non esitano a definire un vero e proprio ricatto. È il ristorno, il tributo" del 10%, uno sconto in fattura che ogni produttore deve pagare annualmente alla grande distribuzione per avere spazio sugli scaffali.


"Quel dieci per cento è il tributo da pagare per lavorare con loro", spiega con rassegnazione Carmine (nome di fantasia), uno dei produttori intervistati. "Se non lo accetti, resti fuori". Non è un'eccezione di qualche catena spregiudicata: è la regola. Dai discount come Eurospin ai marchi tradizionali come Conad e Carrefour, tutti pretendono questa percentuale che può arrivare fino al 14%.


Il meccanismo è perverso: il consumatore paga il prezzo pieno, ignaro degli sconti imposti ai produttori. Su 100 euro di spesa, solo 7 euro finiscono effettivamente nelle tasche degli agricoltori come utile netto. Il resto viene trattenuto da logistica e distribuzione.

Quando compriamo una pesca a 2 euro al chilo, il produttore la vende al distributore a 1 euro. Da questo deve togliere trasporto, lavorazione, confezionamento e il ristorno del 10%. All'agricoltore restano 30 centesimi. Con cui dovrebbe mandare avanti un'azienda.


I numeri parlano chiaro: in Emilia-Romagna si è perso il 70% delle superfici coltivate a pesche e nettarine, in Veneto il 73%. "È stata un'ecatombe silenziosa", racconta Mirko, responsabile di un gruppo ortofrutticolo. "Molti hanno espiantato perché non ci stavano dentro con i conti".

Secondo un'indagine, 30mila aziende agricole sarebbero a rischio chiusura solo in Emilia-Romagna. La maggioranza degli intervistati dice che il problema è che l'azienda rende troppo poco.


La situazione si complica ulteriormente con la concorrenza internazionale. I supermercati italiani chiamano fornitori spagnoli o greci per ottenere prezzi più bassi, mettendo in crisi i produttori locali. È tutto legale, ma devastante: le pesche spagnole vengono vendute a 1,69 euro al chilo, la metà di quelle italiane nello stesso supermercato.

"La filiera è diventata un campo di battaglia europeo, ma senza regole condivise", denuncia un produttore mostrando questa disparità di prezzi.


Anche le offerte promozionali si sono trasformate in un'arma contro i produttori. Non servono più a smaltire surplus, ma sono imposte dai supermercati per logiche di marketing. "Se decidono che le albicocche devono andare in offerta a 1,29 al chilo, tu devi adeguarti. Anche se ci rimetti", spiega Walter, agricoltore romagnolo.


La grande distribuzione controlla ogni aspetto: dalla calibrazione dei frutti (pesche da 65-72mm, se ne hai da 64 o 73 non vanno bene) ai materiali per il confezionamento. I produttori devono comprare vaschette ed etichette dalle ditte imposte dalle catene, spesso a prezzi maggiorati.

"Siamo diventati confezionatori per conto terzi", racconta amareggiato Walter. "La nostra autonomia si ferma al frutteto".


Tutti parlano sottovoce, tutti chiedono l'anonimato. La paura è concreta: chi denuncia viene tagliato fuori. Il caso di Fortunato Peron, che vinse una causa contro Coop Italia ma da allora non lavora più con nessuno, è diventato un monito per tutti.

"Il nostro settore ha la memoria lunga e la pelle sottile", spiega un produttore. "Se ti metti contro la distribuzione, sei finito".


Mentre i principali gruppi distributivi hanno registrato utili miliardari (Eurospin 1,56 miliardi, VéGé 1,33 miliardi), le sanzioni per pratiche sleali raggiungono appena 665mila euro. "Una cifra insignificante", sottolinea l'avvocato Gualtiero Roveda, "confrontata con i danni stimati di almeno 350 milioni di euro all'anno per l'intera filiera agricola".


"Mio nonno diceva che la terra ti dà da mangiare. Oggi ti dà solo da sopravvivere", confessa Andrea, giovane agricoltore trentenne. "Non ho mai pensato di mollare, ma ho smesso di illudermi".

La parola che ricorre più spesso tra i produttori non è "profitto" o "crescita", ma "dignità". "Chiediamo solo di essere trattati come una parte della filiera, non come i suoi servi", conclude Andrea. "Perché se salta chi produce, salta tutto".

Dietro la frutta lucida dei supermercati si nasconde dunque una guerra silenziosa che sta distruggendo l'agricoltura italiana. Un sistema che premia solo chi ha il potere di imporre le condizioni, lasciando chi lavora la terra a lottare per la sopravvivenza.


Questo post è basato sull'inchiesta di Stefano Liberti pubblicata su Internazionale il 14 luglio 2025

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