Il caffè è più buono se si chiama Tatawelo
- Alessandra Mazzotta

- 27 ott
- Tempo di lettura: 2 min
Torino, 27.10.2025

Il caffè è più buono se si chiama Tatawelo. Perché? Perché dentro una tazzina di caffè Tatawelo c'è un progetto che parte da un'idea di economia giusta e equa. E dietro quella tazzina c'è una filiera trasparente e solidale: dal campo alla tostatura. È la storia più che ventennale del caffè Tatawelo, raccontata da Dulce Chan Cab e Walter Vassallo, rispettivamente presidentessa e referente del progetto Tatawelo.
"In più di vent'anni di solidarietà, abbiamo sempre fatto del nostro meglio per portare avanti il motto "Para todos todo" -, spiegano Dulce e Walter -. Dal 2003 il progetto solidale, che coinvolge molte realtà del commercio equo italiano, collabora con le cooperative di cafetaleros delle comunità indigene zapatiste del Chiapas, in Messico, e con le Cooperative in Guatemala e Tanzania, per la coltivazione e importazione del caffè verde, tramite le regole del Commercio Equo e Solidale". Con modalità che prevedono preziosi strumenti di finanza etica.
"Gli strumenti di finanza etica adottati per dare gambe al progetto sono il prefinanziamento e la quota progetto, cioè un contributo solidale di 10 centesimi di euro a pacchetto utilizzato per finanziare iniziative nelle comunità", spiega Dulce. Con il prefinanziamento, invece, viene pagato in anticipo il caffè ordinato alle cooperative chiapateche, dando loro le risorse finanziarie necessarie all’avvio della produzione, senza strozzinaggio degli intermediari delle grandi imprese locali.
"Il progetto che portiamo avanti cerca di espandere la rete di sostenitori che “vedono” qualcosa di più al di là di quella tazzina di caffè, trasmettendo la storia e il significato politico della propria scelta d'acquisto". Tutto questo dentro una tazzina di caffè Tatawelo. Il più buono.




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